TOR DES GEANTS 2015

TOR DES GEANTS 2015
Il Tor des Géants è una ‘gara-mito’ fatta da atleti che amano la corsa sulle lunghe distanze, persone dotate di una buona dose di consapevolezza, tenacia, capacità di prendere decisioni in fretta, di adattarsi all’ ambiente mutevole delle condizioni climatiche e che conoscono la Montagna.
Il Tor, 330 chilometri di corsa, 24.000 metri di dislivello, si snoda attraverso il parco nazionale del Gran Paradiso, collegando le due alte vie della Valle d’Aosta. Una competizione no-stop, da percorrere in un massimo di 150 ore, cui partecipano iscritti selezionati tra 52 nazionalità provenienti da tutto il mondo.
Una gara nella quale gli atleti si confrontano con tutte le loro risorse, fisiche e psichiche, poiché è una condizione dove in un tempo limitato si deve raggiungere l’obiettivo del traguardo, in un percorso durante il quale la fatica attanaglia le gambe, la forza di volontà non è sufficiente e il coraggio viene definito dai più un ‘accessorio indispensabile’.
In questa esperienza dove fermarsi per dormire significa perdere posizioni, un’allucinazione può diventare una risorsa reale cui attingere o farti perdere la strada negli ultimi chilometri dal traguardo. I primi atleti che raggiungono l’arrivo completano il percorso in meno di 80 ore dormendo in totale solo un ora e mezza.
Questa è una gara dove la preparazione, fisica e mentale, dell’atleta diviene indispensabile. Le esigenze fisiche e psichiche, mentali ed emotive dell’atleta, sono in primo piano, balzano in figura.
A supporto degli atleti che si cimentano e si misurano con il TOR, il lavoro di tanti professionisti (che seguono questi atleti prima, durante e dopo la gara e che divengono fondamentali per la prestazione sportiva). E’ possibile incontrarli nelle basi vita e nei rifugi disseminati lungo il percorso, che insieme agli abitanti del luogo, con semplici gesti, una mela o un incoraggiamento, possono fare la differenza per un atleta. Nelle basi vita e nei rifugi, l’apporto di un esercito fra volontari medici, infermieri, massaggiatori, allenatori, psicologi, cuochi, responsabili delle registrazioni e delle sveglie, rifugisti e guide naturalistiche, cronometristi, addetti al pronto intervento con elisoccorso, guide alpine, ‘scopette’, si prodigano perchè questo importantissimo evento – che si svolge tra paesaggi mozzafiato di montagne incastonate come diamanti nel paesaggio italiano – consenta di incoronare coloro che si dedicano ad uno degli sport di resistenza più affascinanti al mondo.
“Anche se sono un veterano della corsa, ogni volta è una emozione che nasce da capo (…) per i luoghi, per la gente, per la passione e l’impegno dei volontari, per il nuovo modo di andare in montagna. Prima, per andare per colli e sentieri, si doveva rigorosamente partire presto e tornare presto. Il Tor ha dimostrato che, con l’indispensabile preparazione la prudenza e il buon senso, la montagna si può frequentare a qualsiasi ora, ben conoscendo strade e rifugi. E che al tramonto e di notte è piuttosto affascinante.” (Franco Collé – vincitore dell’edizione 2014).
Elemento base del Tor, e di chi conosce la montagna, è anche la solidarietà, e la solidarietà anche fra atleti, che nei momenti in cui è a rischio la vita, sono capaci di aiutarsi e supportarsi a vicenda.
Un esempio è Christophe Le Saux, autentico giramondo dell’Ultra Running, riconoscibile per la criniera leonina, atleta polivalente che da parecchi anni si è affermato nel mondo del trail e che partecipa da ormai diverse edizioni al TOR. Questo atleta nel 2008, partecipando alla cordata che tentava la scalata al Pumori, quando un enorme blocco di ghiaccio colpì Corinne Favre, insieme ad altri atleti aiutò l’amica a ridiscendere al campo base, salvandole la vita insieme a tutti gli altri atleti che con lui hanno deviato il proprio percorso di gara. (Christophe nel Tor des Géants 2015, si classifica 3°, nel 2014 e nel 2012, 2° nel 2011).
L’atleta professionista è indubbiamente un fuoriclasse, ma a gare come queste possono partecipare tutti coloro che amano lo sport, avere coscienza del limite e accettare le fragilità del proprio corpo e della propria mente.
Per affrontare le ultramaratone serve allenamento, fisico e mentale, poiché le abilità mentali specifiche si possono allenare, come la capacità di affrontare e superare le crisi che fa’ da discriminante soprattutto in condizioni estreme.
L’esperienza in presa diretta, per chi come me ha avuto l’onore di partecipare all’evento, è adrenalinica e coinvolgente all’inverosimile, anche per uno psicologo – coach. Gli atleti che ti si affidano, ti regalano la partecipazione ai loro monologhi interiori che si prolungano talvolta quanto la corsa, ti regalano la partecipazione alle evoluzioni e alle involuzioni del loro pensiero, li vedi in preda ai morsi della fame e alla sofferenza del dolore, febbricitanti o congelati, imbambolati dal sonno eppure ancora con la spinta ad andare avanti, talvolta con un unico pensiero dominante in mente.
Al Tor, che ogni anno ripropone una sua nuova edizione, partecipano sportivi e atleti che amano sfidarsi, che prediligono lo sport di endurance, hanno un debole per i paesaggi naturali mozzafiato e sono temprati a resistere alle privazioni, sapendo discernere fra ciò che serve ed è indispensabile, e ciò che non serve e và lasciato andare.
“Il Tor ti obbliga a scegliere tra cosa è indispensabile e cosa no. Ed è una lezione importante da imparare: troppo peso dietro ti rallenta, troppe poche cose mettono a repentaglio la tua incolumità. Al Tor devi imparare a sacrificare la comodità per l’efficienza. Devi imparare a rinunciare a tutto quello che non è indispensabile e, cosa importante e per nulla scontata, devi imparare a distinguere tra ciò che è necessario e cosa no.
Questo minimalismo viene elevato a regola di vita durante il Tor e anche le persone che sono sul percorso, che siano incontri casuali o amici venuti a sostenerti, percepiscono le cose di cui tu davvero hai bisogno in quel momento. E ti offrono un frutto fresco, un abbraccio, una maglia extra, una parola di sostegno o solo l’occasione per distenderti su un prato e chiudere gli occhi per 10 minuti. E ancor di più il discorso si fa importante quando si parla di sentimenti. E impari che avere l’anima leggera è più importante di uno zaino da top runner. (Franz Rossi)
Per prepararsi a queste sfide gli atleti si affidano parallelamente ai loro allenatori fisici e ai loro allenatori mentali, senza timore nel raccontarlo, poiché uno sportivo che si allena e si prepara con i suoi allenatori non è un purosangue fragile, ma è un atleta consapevole della differenza che fanno le sue capacità mentali sulla sua prestazione sportiva poiché lo sport è una disciplina che per definizione consiste semplicemente nel superare se stessi. E spesso, superare i propri limiti, ha più a che fare con una questione di testa che con una questione di muscoli.
“Il Tor è già una gara durissima da gestire. Se poi la affronti per fare un risultato sportivo… è come correre su una lama di rasoio. In me coabitano due anime, quella del montanaro prudente e riflessivo e quella dei “competitivo pronto a tutto”. Con la perdita della lucidità dovuta alla mancanza di sonno, si finiscono per fare cose totalmente assurde. Il che vuol dire pericolose. E in ogni caso del tutto irrazionali.” (Stephane Couleaud TDG 2011)
Al TOR la parola d’ordine è allora: con un adeguato allenamento e specifica preparazione, spingersi oltre i propri limiti senza lasciare nulla al caso. Tagliando il traguardo distrutti ma felici, con uno spirito particolare poiché come nota lo psicologo Pietro Trabucchi: “Se qualcuno puntasse loro una pistola alla tempia e li costringesse a fare il Tor, probabilmente non riuscirebbe ad ottenere il giro completo: la maggior parte, sfinita, ad un certo punto preferirebbe una morte istantanea ad una sofferenza prolungata. Eppure centinaia di persone da tutto il mondo pagano ogni anno per mettere alla prova i propri limiti, per raccogliere la sfida di questa gara unica al mondo, in un territorio di rara bellezza. E queste centinaia sono i privilegiati, una piccolissima frazione delle migliaia che hanno tentato di iscriversi».
Aver partecipato e condiviso questa esperienza è stata per me un onore. Un ringraziamento particolare và a mio marito Stefano Scianca, sportivo multitasking d’eccellenza, adottato dalle montagne italiane da quando era un ragazzino, portatore della fiamma olimpica, istruttore di barca a vela e montanaro D.O.C., che mi ha avvicinata alla Montagna e insegnato ad amare i paesaggi delle alte vie. Senza di lui questa esperienza non sarebbe stata possibile. Tra gli atleti che ho avuto il privilegio di incrociare quest’anno Gianluca Galeati, Christophe Le Saux, Lisa Borsani, Sthephanie Case, Denise Zimmermann, Taro Tanaka, Fabio Cavallo, Francesco Goggi, Masahiro Ono, Oscar Perez Lopez , Julio Cernuda Aldecoa) che considero degli atleti formidabili anche solo perché pensano di correre gare del genere, arrivando magari dall’altra parte del mondo, gare che richiedono una dose di coraggio superiore alla media, sfide che questi atleti pensano di vincere. E sulla scia della vittoria lascio la parola ad uno di loro, uno dei vincitori dell’edizione TOR 2015: Gianluca Galeati.
TORnato alla realtà dopo il Tor des Geants 2015, Gianluca ci scrive:
“Rhemes Notre Dame, 65ºkm, poco dopo le 20: Entro nel ristoro e Patrick è sempre li, ennesimo incontro, ennesimo incrocio di sguardi, ennesimo pensiero personale che ormai è diventato un ritornello “che cacchio ci faccio qui con lui!?”
Una dottoressa mi chiede se voglio medicare il ginocchio, macché non scherziamo. La domanda era più che lecita, ma io non mi ero assolutamente accorto dell’evidente squarcio nel ginocchio sinistro! Mangio, Marco mi agevola le operazioni di asciugatura, bevo e mangio il più possibile, nel mentre mi vesto ancora un po’. “10cm di neve vi aspettano sull’Entrelor!”, ci dicono. Ah però, penso io, e sul Loson cosa diavolo ci sarà allora?! L’inferno, deduco.
Non ci faranno passare di li, mai e poi mai, continuo a meditare. Osservo Patrick, si sta vestendo di brutto. Anche io non risparmio strati, mangio ancora qualcosina al volo e poi sono pronto a partire! Lui esce, intanto arriva Christophe, che come suo solito, divora qualcosa e in pochi istanti è pronto a scheggiare via. Usciamo insieme noi due, e su verso un altra salita, un altro colle, un’altra avventura, un altro affronto al cielo burrascoso di questa notte pazzesca, che comunque per noi deve ancora iniziare.
Qualche minuto e stacco il francesino, in salita sto proprio bene e avanzo regolare senza eccessi. Da solo sto meglio: notte, freddo, pioggia, luce frontale, concentrazione, e soprattutto convinzione. Grinze nelle dita – nonostante guanti e copri guanti impermeabili- piedi freddi, gambe gelide e bagnate, ossa muscoli e tendini già intaccati da un umido costante, snervante, struggente.
Nel frattempo la pioggia aumenta di intensità mano a mano si sale di quota , la frontale di Patrick è lì poco più avanti e si avvicina sempre più. Giuro, non ho proprio voglia di raggiungerlo, anzi non deve proprio succedere perché già pare una grossa minchiata essere li con lui in quel momento. Ma lui cala, e io lo raggiungo. Cazzo. “Ça va?!”, domanda lui. Mi esce un “Bien” sincero, anche se onestamente potrebbe andare molto meglio se il cielo degnasse po’ di tregua. “Et toi?”, “Bien” mi risponde nell’istante in cui lo passo mentre lui è intento ad infilarsi il secondo guscio sopra lo zaino! Cacchio, gran mossa la sua, copio e incollo nella mia testaccia dura e ad Eaux Rousse adotterò la stessa tattica per affrontare il Loson: quei 3300m in questa notte fredda e tempestosa incutono timore e rispetto, nonostante ci sia ancora da superare l’ostacolo Entrelor.
Fatto sta, che mi ritrovo a staccare i 2 francesi e ad avanzare di buon passo verso le pendenze proibitive che fanno presagire di essere in prossimità del colle. Luce lampeggiante a vista, scalini di ferro gelati, freddo pungente, vento graffiante, estremità dei piedi quasi gelate, pioggia di taglio, anzi forse ora è neve; ma nella mia testa tanta attenzione, concentrazione, determinazione. Dunque, poco tempo e sono in cima, targa gialla che recita Col Entrelor 3002m, e appena di la qualche luce frontale che mi punta contro e che raggiungo, ed una voce che comunica alla radio e che pare provenire dall’aldilà: “Col Entrelor, comunico passa ora il primo… sta iniziando a nevicare.” Poi silenzio, anche nella mia testa. Cazzo, davanti a me non c’è nessuno.
Che dire, aldilà o no, del colle, del paradiso, dell’inferno o di checcacchionesò, non ci capisco più niente, e fuori dal guscio non c’è tempo per pensare, c’è tempo solo per andare e lasciare i pensieri li dove sono, correndo il più veloce possibile verso quote più sicure.
Però, c’è un però sul quale non posso sorvolare. Sono in testa al TOR, e questa può sembrare la più gran cazzata che potessi immaginarmi, soprattutto nel corso di una notte così apparentemente dannata.
Però, io preferisco pensare che questa e le prossime due, nonostante tutto, potrebbero rivelarsi le mie notti fortunate…”
Gianluca Galeati, TOR 2015