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Scrivere, per conoscere e per crescere

Posted by on Settembre 17, 2019 in NEWS | Commenti disabilitati su Scrivere, per conoscere e per crescere

Scrivere, per conoscere e per crescere

SCRIVERE per conoscere e per crescere  

“Siamo fatti delle stesse molecole di cui sono fatte le stelle” diceva qualche anno fa Margherita Hack ad una conferenza dal tema ’nascita e morte di una stella’. E come si fa a mettere sulla carta, scrivendo, e descrivendo ciò di cui siamo fatti e, come mi chiedeva una cliente, “come si fa a scrivere l’indicibile?”

Scrivere è una delle capacità umane che ha consentito l’evoluzione della specie, lo sviluppo e il tramandarsi della cultura nei secoli. Scrivere attiva l’alchimia della creatività e aiuta ad entrare in contatto con altre persone.

Quale intenzionalità muova nel comporre un saggio, un verso, dunque non è di per sé fondativo, rilevante è l’atto in sé. E’ lo scrivere che consente di ritrovare il proprio sé, la propria energia e direzione, la propria intenzionalità di contatto, intrecciando il proprio percorso di vita con quello delle persone che lo leggono.

La lunghezza di uno scritto così come il tema di cui scrivere è spesso qualcosa che preoccupa chi si accinge a narrarsi. Tuttavia ciò è solo un punto di vista, cambiamo prospettiva in Giappone, ad esempio, la natura è la protagonista degli haiku. Queste brevissime poesie, che seguono una precisa sequenza composte di sole tre strofe, hanno come tema principale la natura (come alberi, uccelli, fiori, specchi d’acqua) ma sono dotate di un senso e un significato squisito che và oltre ciò, proponendo la loro bellezza descrittiva come racconto interiore.

Scrivere ha un potere curativo e come sostiene Erving Polster, ogni vita merita un romanzo: così anche scrivere la propria biografia facendosi ispirare dalle immagini dei luoghi visitati in una vacanza può essere terapeutico.

In comune la natura e la scrittura hanno infatti la capacità di aiutare nei momenti difficili, così quando ci si mette a scrivere della natura l’effetto sul nostro benessere è ancora più forte. 

Se sei interessato ad approfondire il tema in un percorso contattaci scrivendoci una e-mail.

 

Gare Estreme – k4 e TOR 2016

Posted by on Settembre 27, 2016 in NEWS | 0 comments

Gare Estreme – k4 e TOR 2016

Siamo a settembre 2016. Si sono appena concluse due delle gare più dure cui partecipano maratoneti e runner esperti, il K4  e il TOR 2016.

Anche quest’anno gli atleti hanno dato il massimo in un’esperienza che segna l’esistenza. Questi percorsi che si snodano lungo le vette delle nostre splendide Alpi richiamando atleti da ogni parte del mondo, richiedono una preparazione specifica.

Per iniziare a conoscere il mondo degli ultramaratoneti, un mondo crudo e impegnativo si può leggere la voce di altri maratoneti nelle interviste condotte da Matteo Simone nel suo libro.

Per chi come me è entrato in contatto con questi atleti capaci di imprese grandiose, ciò che ho respirato mi è rimasto dentro.  L’esperienza è un condensato di vita che si consuma in una manciata di giorni, ore che valgono l’esperienza di anni interi.

Queste gare danno tanto e altrettanto prendono, non si può mai sapere come vanno a finire. Non si può predire prima della partenza chi si incontrerà, quanto si soffrirà, in quali momenti si avrà la sensazione di volare sulle proprie gambe, chi ci metterà davanti o dietro la fortuna, e chi invece la sfortuna. Nulla è prevedibile, si parte e si va verso l’ignoto, l’inaspettato, il rischio, ci si immerge in quella che è un’ esperienza che consente di avvicinarsi e talvolta scoprire la propria essenza, poichè è sempre la persona che decide la propria posta in gioco e la propria vincita, a prescindere dal posizionamento nella gara. Ecco questa è una delle poche cose che si sanno prima, mi hanno raccontato gli atleti.

Un grazie a tutti loro che hanno partecipato e a tutte le persone e strutture che hanno consentito queste esperienze.

“ULTRAMARATONETI E GARE ESTREME”

Posted by on Giugno 20, 2016 in home page, NEWS | 0 comments

“ULTRAMARATONETI E GARE ESTREME”

 “ULTRAMARATONETI E GARE ESTREME” – Un libro di MATTEO SIMONE

Con l’Introduzione

del Professor Riccardo Zerbetto e della Dr.ssa Sonia De Leonardis

Chi sono gli ultramaratoneti? Cosa motiva questi atleti? Quali meccanismi psicologici consentono loro di affrontare gare estreme? Cosa li spinge a spostare sempre più in avanti i limiti fisici?

Questi i quesiti che si è posto l’autore Matteo Simone (Psicologo Militare, Psicoterapeuta della Gestalt e Atleta) per stendere questo libro in pubblicazione a luglio 2016 con Prospettiva Editrice.    Lo sport è da sempre considerato una modalità educativa e di formazione, oltre che di mantenimento della propria salute e del proprio benessere, ma in questo libro si và oltre, si parla di ultramaratone e di gare estreme (estreme per lunghezza kilometrica, per condizioni fisiche-naturalistiche e metereologiche nelle quali si affrontano i percorsi), per le richieste fisiche e mentali poste al corpo da questi atleti.  Il testo consente di calarsi nella realtà di queste persone, gli ultramaratoneti,  grazie all’esperienza diretta dell’autore – è un libro scritto da un atleta – e grazie al contributo di centinaia di atleti intervistati che hanno condiviso le loro esperienze di gara ed i loro vissuti pre – durante – e post – gara.  All’inizio del libro si parla della corsa e della corsa di lunga distanza, attraverso il racconto di persone comuni e di atleti professionisti si arriva alla maratona e poi all’ultramaratona. Seguono l’ultratrail e le gare estreme, dove i professionisti la fanno da padroni. Infine alcuni capitoli in cui l’autore tratteggia le competenze, le abilità e i talenti che emergono dal racconto degli atleti per concludere con un capitolo sugli aspetti psicologici nel mondo dello sport.  Il testo è come una miniera in cui nei racconti si trovano gemme preziose sparse lungo le pagine scritte in uno stile narrativo, punteggiate dalle domande e dalle risposte alle interviste. In primo piano è il vissuto esperienziale di questi atleti,  le loro problematiche, le loro convinzioni, le loro paure, le loro caratteristiche, le loro esperienze di vita e i loro successi. Vi sono i racconti di amanti della corsa e di atleti professionisti. Vi sono i racconti di atleti che ‘migrano’ da altre discipline, per i più svariati motivi, scoprendo che l’ultramaratona è ciò che fa’ per loro.  Queste persone iniziano a correre, e, poi, proseguono, nel loro costante tentativo di approssimare l’archetipo dei miti che in loro rivive manifestandosi attraverso la loro attualizzazione. In una ricerca continua che segue ancora la famosa ingiunzione ‘conosci te stesso’, che tutt’ora, dopo tanti secoli, attraversa ancora le menti ed i corpi degli uomini. E il corpo di questi atleti è in figura, costantemente: lo sono le sensazioni, l’alimentazione, il ciclo sonno-veglia, gli allenamenti, le emozioni e i pensieri. L’esperienza è sempre intensa e sempre nuova, mai identica a se stessa, in ognuna di queste gare, di queste sfide, lette nella prospettiva della vita quotidiana ‘normale’ come ‘impossibili’, dove queste persone sfidano i propri limiti, li toccano, e li superano. Poiché spostare i propri limiti ha a che fare non con la sofferenza ma con la liberazione del sé, come sostiene la terapia della Gestalt (Perls, Hefferline, Goodman, 1951). Nella corsa e nelle ultramaratone il viaggio oltre che esterno è soprattutto interno, nel piacere di sentirsi, di sentire il proprio corpo e le proprie sensazioni, emozioni, i propri pensieri, il viaggio è dentro se stessi, e consente di incontrarsi in eventi passati antichi che tornano presenti, attraverso il movimento, e tornano per essere accolti nel qui e ora, per tornare a far parte a pieno titolo della vita e dell’essenza della persona.  Scrive Matteo Simone: “Più cerchi di scoprire se riesci, e più ti conosci, e più sei te stesso, questa è la bellezza di avvicinarsi al limite, con attenzione e gradualità”.  Questi atleti imparano ad ascoltare e a riconoscere tutti i messaggi del proprio corpo, divenendo consapevoli dei limiti e di quanto ancora si possono spingere oltre o, al contrario, quanto è importante  fermarsi per un po’, pena infortuni rovinosi. Spesso chi sceglie di essere ultramaratoneta e di partecipare a gare estreme sembra non abbia limiti, vuole andare avanti, vuole cercare competizioni sempre più dure, difficili, e solo l’infortunio, l’incidente, un malessere grave può fermarli. Quindi smette per motivi di salute, per logorio, per l’impossibilità a continuare. Ma si smette a malincuore, si vorrebbe continuare a sentirsi invincibili, imbattibili, supereroi, infiniti, quasi immortali, moderni eroi eco di antichi miti. Dalle rispose alle interviste emerge che gli infortuni si mettono in conto e che si è disposti a fermarsi un po’, oppure a rallentare i ritmi. Spesso, tuttavia, la passione si ripresenta prepotente, l’ultramaratona più che uno sport estremo, è un lungo viaggio, come quello di Ulisse: finchè non si giunge a Itaca, non ci si può fermare anche se si è incontrato Polifemo o la bella Circe. Mossi ormai da quello che per loro diviene ‘IL bisogno emergente’, da un qualcosa che, iniziato stando sullo sfondo balza in figura, costantemente, nella loro vita quotidiana, mettendo in discussione anche le relazioni interpersonali, familiari e amicali.  L’organismo umano è un micro cosmo che tende all’ ‘autoregolazione organismica’ (Perls, ibidem), per approfondirne la conoscenza e per conoscersi oltre a psicologi, medici e psicoterapeuti è fondamentale il contributo del diretto interessato, la responsabilità dello sportivo e dell’atleta: mettersi in gioco è la condizione per conoscere se stessi.  E allora mantenere la propria curiosità, provare, sperimentare, cadere, rialzarsi, imparare, non essere limitati nelle cose che si fanno, stare a vedere che succede, sono le forze in campo.  A chi non corre e chiede perché lo si fa, Matteo Simone risponde sempre nello stesso modo: “e perché tu non lo fai?” Come scrive l’autore qualcuno considera queste persone ‘matte da legare’, ‘suicide’ o ‘masochiste’; ma per loro l’essenza della vita è sperimentare le proprie capacità personali, misurarsi con l’impossibile, l’incerto, sfide continue per conoscere se stessi, per entrare dentro se stessi e fare un viaggio interiore alla ricerca di se stessi e delle proprie possibilità, capacità di affrontare e ritornare sempre, quando si casca, a rialzarsi. Un libro affascinante che avvicina alle motivazioni di queste persone, che tratteggia le loro strutture caratteriali e i loro enneatipi, un testo che permette di avvicinarsi a questo tipo di discipline considerate estreme e impossibili, attraverso una sorta di curriculum vitae esperienziale di chi pratica questo Sport.  Poiché come ci ricorda la psicoterapia della Gestalt è nell’esperienza che risiede la conoscenza.                           Copyright 2016 © – SDL – Tutti i diritti riservati

L’importanza di un viaggio

Posted by on Maggio 5, 2016 in NEWS | 0 comments

L’importanza di un viaggio

Gioiosa Pasqua

Posted by on Marzo 23, 2016 in NEWS | 0 comments

Gioiosa Pasqua

Un augurio di serena e gioiosa Pasqua a tutti, che porti pace, rispetto

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e nuova gioia.

Siamo nel periodo primaverile, quale momento migliore per nuove rinascite, anche interiori.

Per nascere veramente, a volte, occorre rinascere.

MEGLIO DI UN FARMACO, LA MEDITAZIONE: rimedio per l’anima e per il corpo

Posted by on Febbraio 15, 2016 in NEWS | 0 comments

MEGLIO DI UN FARMACO, LA MEDITAZIONE: rimedio per l’anima e per il corpo

MEGLIO DI UN FARMACO

LA MEDITAZIONE:

rimedio per l’anima e per il corpo

La Meditazione è una disciplina antica, praticata da millenni, ma solo recentemente gli scienziati hanno sviluppato tecnologie sofisticate tanto da poter osservare cosa accade nel cervello umano mentre si medita.

Gli studi e le esperienze nei centri medici e negli ospedali provano che praticare questa forma di meditazione aiuta ad attenuare e a contenere, nel migliore dei casi a risolvere, disturbi psichici e disturbi fisici.

Esistono varie tecniche e pratiche di rilassamento, e, tra queste, la pratica meditativa è capace di allenare all’ ascolto di sé e del proprio corpo, migliorando sensibilmente lo stato emotivo. Questo è ormai assodato dagli studi del settore. Recentemente, tuttavia, da ulteriori ricerche è stato dimostrato che la mindfulness è una vera e propria terapia per i disturbi fisici grazie alla sua azione sul sistema nervoso e su quello immunitario.

In America da oltre trenta anni questa tecnica viene usata come strumento complementare di cura e recentemente anche in Italia in alcuni ospedali viene sempre più spesso affiancata alle terapie tradizionali e applicata per curare malattie tanto di origine psichica quanto di origine fisica.

Vari gli ambiti in cui ne è stata riscontrata l’utilità. Tra i principali vi sono: le malattie croniche e quelle autoimmuni, i pazienti sottoposti a cure chemioterapiche, i pazienti con disturbi di ansia e depressione, persone che soffrono di acufeni. La meditazione grazie al suo potente effetto rilassante dà risultati importanti anche con le malattie psicosomatiche e autoimmuni legate alla tensione nervosa, come la sindrome di Hashimoto e l’artrite reumatoide, poiché agendo sul livello di stress esperito dalla persona fà si che il sistema immunitario non vada in tilt. Meditare riduce anche lo stato di tensione e quel senso di vulnerabilità che si vive durante tutto il percorso di cura, riducendo il senso di nausea, vomito e stanchezza che colpisce i pazienti sottoposti a cure chemioterapiche. Molto efficace è la meditazione per chi soffre di disturbi d’ansia e dell’umore, oltre che della depressione. Questi pazienti, supportati da un percorso psicoterapeutico e dalla meditazione, riescono man mano a sciogliere nodi di pensieri negativi e imparano a riconoscere i circoli viziosi della mente, gli automatismi ed il modo di interromperli.

Altrettanto efficace si è rivelata la meditazione nel caso degli acufeni chi ne soffre sà quanto può essere complicato convivere con un ronzio continuo nelle orecchie. Ma come è possibile? Imparando a meditare il ronzio non scompare ma si smette di prestargli attenzione, non si lotta più contro il rumore, non si cerca di eliminarlo o coprirlo ma si comincia a piccoli passi a prendere atto della sua presenza in modo neutro, e poco alla volta il ronzio si affievolisce fino a scomparire.

Anche in ambito lavorativo la meditazione offre risultati importanti. Sorprendenti sono stati i risultati di una  ricerca del Dr. Gregg Jacobs della Harvard Medical School secondo cui dopo un programma di 8 settimane la materia grigia del cervello si modifica divenendo più spessa, rendendo i soggetti più attivi e con una migliore gestione delle reazioni agli stimoli esterni, aumentando contemporaneamente la concentrazione, i livelli di attenzione e di resistenza fisica. Ciò fa sì che queste persone riescano ad affrontare meglio una prestazione lavorativa o un esame così come le semplici difficoltà di tutti i giorni. Dopo un training di meditazione di 8 settimane, il cervello dei soggetti del gruppo di Meditazione rispetto al gruppo di controllo della ricerca di Harvard ha evidenziato un pronunciato cambiamento nel funzionamento delle onde cerebrali registrato attraverso l’EEG (Elettro Encefalo Gramma), passando da onde alfa, tipiche della fase del pensiero cosciente, a onde teta, presenti nel cervello in fase di rilassamento profondo. Questo fenomeno mostra che si è verificato un rilassamento profondo ed è diminuita l’attività della mente cosciente nel gruppo di Meditanti, rispetto al gruppo di controllo.

Anche nelle persone che meditavano per la prima volta si è evidenziato un calo delle onde beta, segno che la corteccia non elabora le informazioni così attivamente come fa di solito.
Già dopo i primi 20 minuti di Meditazione il funzionamento del cervello dei soggetti manifesta un marcato calo delle onde beta, mostrando di essere in uno stato di calma e di quiete.

Provare per credere.

Propositi di inizio anno nuovo: lasciare andare

Posted by on Gennaio 17, 2016 in NEWS | 0 comments

Propositi di inizio anno nuovo:  lasciare andare

Propositi di inizio anno nuovo: lasciare andare

Per essere felici, motivati ed efficaci più che aggiungere, a volte abbiamo bisogno di … lasciare andare!

Spesso arriviamo alla fine dell’anno con impegni da concludere, bilanci di attività da fare, ‘cose’ in sospeso e ci si sente sommergere dagli impegni. A questo si aggiungono le festività che portano altri impegni con diversi coinvolgimenti familiari e amicali e ci si sente carichi. Carichi di impegni e di stress che il più delle volte è gonfiato dall’ ulteriore carico di cibi che appesantiscono e ingolfano, ci ritroviamo tra panettoni gastronomici e panettoni dolci, e vogliamo forse rinunciare ai dolcetti vari della befana? Se guardiamo temporalmente dietro l’angolo, ci vengono proposti già ora chiacchiere e tortelli della tradizione per il carnevale? E nel frattempo essendo l’inizio dell’anno pensiamo ai progetti e alle nuove attività, c’è persino chi già da ora inizia a pianificare le ferie (!) per il nuovo anno.

Secondo voi c’è da sorprendersi se corpo e mente decidano a volte di ribellarsi sotto il peso di inquinanti fisici e mentali accumulati nel corso degli anni con questi comportamenti?

E se invece quest’anno fosse differente?

Se decidessimo finalmente di lasciare andare qualcosa e di iniziare il nuovo anno più leggeri? In tutti i sensi?

Se decidessimo di ricominciare a provare un po’ di benessere e quindi a sentirci più felici?

Personalmente per il nuovo anno ho deciso di lasciare andare ciò che per me è superfluo.

Ho deciso di sfrondare un po’ di rami così da dedicare le mie energie e il mio tempo per focalizzarmi solo su ciò che per me è essenziale e mi porta benessere.

Su questo tema, lasciar andare, condivido qui alcune delle mie personali scelte, in modo anche da rispondere a tutti coloro che mi hanno scritto e chiesto un aiuto o un supporto. Ciascuno di noi avrà le sue scelte ma talvolta si scoprono più somiglianze tra le persone di quanto si pensa, e ciò inizia quando si sospendono giudizi e pregiudizi, inizia quando si accantonano i pettegolezzi, entrando realmente in contatto con le persone e le si conosce per quello che sono.

Per questo inizio di nuovo anno vi invito a questa riflessione: che cosa posso lasciar andare?

Le mie scelte. 

Scelgo di lasciar andare la tendenza al perfezionismo. Quando lavoravo come Consulente di Direzione, l’Amministratore Delegato di allora insegnava a tutti l’attenzione per i dettagli e il controllo ferreo sull’operato proprio ed altrui. Di questo gliene sarò riconoscente ma in questi ultimi anni, lavorando in altri contesti, ho appreso che essere efficaci ed efficienti significa anche comprendere quel limite oltre il quale la ricerca dell’eccellenza diventa futile e anzi dispendiosa in termini di tempo e salute. 

Per il mio nuovo anno ho deciso di eliminare quelle attività del mio lavoro inutili o che posso delegare. Ho deciso di eliminare quelle attività che non mi competono, di cui mi son fatta carico o di cui sono stata incaricata ma che a me non portano valore aggiunto, bensì solo una sottrazione di tempo e di energie.

Ho deciso di lasciare andare la tendenza al perfezionismo poiché questa porta a un paradosso: ci porta a perdere tonnellate di tempo in attività che non dovremmo affatto fare o che qualcun altro potrebbe fare decisamente meglio di noi.

Ho deciso per il nuovo anno di lasciar andare gli ‘usa persone’ . Ho deciso di lasciar andare cioè quelle persone che dopo aver ottenuto le informazioni che cercano per i loro scopi, o dopo essere state aiutate a livelli diversi di intervento a raggiungere i loro obiettivi, o dopo aver realmente constatato l’apporto dato dai perfezionisti (che si limitano comunque a criticare) non hanno nemmeno la cortesia di dire un grazie poiché ritengono che nella vita tutto gli sia dovuto, e anzi pretendono che l’altro continui a nutrirli come farebbe il seno della loro mamma.

Sono persone che se non ottengono ciò che vogliono, come bambini che fanno i capricci, arrivano ad aggredire l’altro fin anche a minacciarlo poiché non hanno altre risorse oltre alla violenza e alla menzogna.

Per il nuovo anno ho deciso di lasciare andare anche quelle persone che non apprezzano la cura nel fare qualcosa o che pensano di conoscere un’altra persona attraverso il riportato di altre persone che invece, come nel gioco del telefono senza fili, falsa e distorce il messaggio iniziale.

Chi vuole conoscere realmente una persona, una situazione, un lavoro, si prende la briga e il tempo per farlo.

Ho scelto di lasciar andare l’ossessione per il controllo. Da quando ne ho memoria ho sempre desiderato avere il controllo della mia vita, insomma, ho sempre voluto essere l’artefice del mio destino. Messa così non suona neanche tanto male. E questo mio tratto caratteriale probabilmente mi ha spinto a inventarmi il mio lavoro.

Ora però sono consapevole che quello che mi ha portato a questo livello è anche ciò che mi stà frenando nel raggiungere il livello successivo.

Quindi ho deciso di lasciare andare un po’ del controllo su ogni minimo dettaglio soprattutto se l’attività in questione non è di mia competenza.

Ho deciso di seguire la mia onda, chissà, magari è lo stesso anche per te…

Ho deciso di lasciar andare la troppa informazione e le troppe fonti di informazione. Mi piace molto leggere ma la mia media annuale del numero di libri e articoli di studi è aumentata troppo. Così come i numerosi corsi cui ho partecipato per sviluppare le mie competenze. Considero lo studio da sempre una delle chiavi di volta nella formazione di una persona, tuttavia spesso aggiungo un nuovo libro alla mia lista dei desideri che si allunga, e si allunga… pensandoci però anche se passassi 8 ore al giorno a leggere sarebbe impossibile smaltirli tutti. Ogni due o tre mesi viene ideata una nuova tecnica o il ‘tal spunto’ per un nuovo esercizio d’aula, ma quanti soldi e quanto tempo servirebbero per seguire tutti i guru che sembrano spuntare come funghi nella società attuale?

Continuerò ad essere una lettrice vorace e ad aggiornarmi, ma intanto da quest’anno libererò i miei desiderata da tutti quegli articoli e da quei testi che non avrò mai tempo di leggere.

E soprattutto sceglierò con una visione diversa ciò che lascerò entrare nel mio futuro. Il nostro tempo è troppo prezioso e merita di essere investito esclusivamente in ciò che realmente è valido e di valore. Che ne pensi?

Per il nuovo anno ho scelto di lasciar andare il bisogno di approvazione. L’altro anno, mentre mi occupavo di un corso di formazione, ricordo di aver ricevuto un commento particolarmente critico e maleducato, ci rimasi male e la cosa peggiore è che persi delle ore intere per rispondere alla polemica che ne scaturì.

La cosa mi colpì poiché anni fa mentre lavoravo ancora per la mia ex-azienda, considerati gli standard di eccellenza richiesti dalla stessa e dai clienti, capitava spesso che il proprio lavoro fosse fatto a pezzettini e poi centrifugato da un superiore. Ma questo faceva parte del lavoro e non che me la sia mai presa più di tanto.

E allora? Cosa può aver scaturito quella reazione?

Beh si sa che quando un progetto lo sentiamo davvero nostro, il bisogno di approvazione diventa molto più forte. Se questo poi è comunicato con estrema maleducazione può capitare di restarci male.

Negli anni ho imparato a farmi scivolare di dosso critiche, invidie, trolls e hateful… ma talvolta il giudizio di qualcuno diventa ancora importante. E diviene importante tanto quanto gli si dà importanza, solo che spesso invece non è così importante, è esclusivamente il valore che noi diamo a quella persona a farlo diventare tale.

Nel nuovo anno non voglio sprecare nemmeno un minuto ad alimentare le paturnie mentali di altre persone, impegnate più a criticare distruttivamente gli altri e a cercare modi per divertirsi facendo litigare altre persone, senza nemmeno il coraggio di ammettere le proprie invidie e gelosie ma solo facendosi scudo e uso di altre persone… lo stesso vale per te?

Chi decide di intraprendere un percorso al di fuori del sentiero battuto si espone inevitabilmente alle critiche altrui. E’ importante allora lasciarle arrivare, mettere a frutto quelle utili, ignorare quelle pretestuose, e in ogni caso …lasciare che la nostra persona si liberi di ciascuna di esse.

Tengo solo ciò che è utile alla mia evoluzione. Tieni solo ciò che è utile alla tua evoluzione.

Ho scelto di lasciar andare gli oggetti inutili. Ho sempre prediletto le cose organizzate e facilmente reperibili ma negli ultimi anni seguendo diversi fronti di attività e ascoltando il consiglio di qualche ‘buon tempone’ mi son ritrovata in mezzo a tanti “ammucchia-ciaffi”. Ora e da quest’anno, come in un trasloco, ho l’opportunità di lasciare andare oggetti e scartoffie che prima sembravano indispensabili e che si erano accumulati nel corso degli anni.

Liberarmi di oggetti e cose ormai inutili mi ha fatto provare una piacevole sensazione di leggerezza.

Il più delle volte non ci si rende conto, stando immersi in una moltitudine di cose superflue, che queste intralciano i luoghi in cui viviamo e lavoriamo, e quanto influenzano negativamente la nostra vita?

Quando la decisione di liberarcene è presa e iniziamo a farlo, prendiamo consapevolezza di quanto questa sia una liberazione.

Se fatichi a liberarti definitivamente di alcuni oggetti prova a metterli in una scatola e scrivi sopra contenuto e data di oggi, dedicandole uno spazio apposito. Se in tutto quest’anno rimarranno li, vorrà dire che l’anno prossimo potrai riguardare quegli oggetti nella tua scatola che per 365 giorni non sono stati usati, e decidere se liberartene.

A volte ci sono oggetti che teniamo come ricordi, puoi predisporre una scatola dei ricordi valutando se anche quelli sono ricordi da tenere o da lasciar andare…

Con il nuovo anno ho scelto di continuare questo approccio un po’ zen e minimalista, di far entrare nella mia casa e nella mia vita solo ciò che considero per me essenziale. Tu cosa vuoi fare? Prova.

Per quest’anno ho scelto di lasciare andare le scuse. Ho iniziato anni fa alcuni percorsi di crescita e sviluppo personale, ma lungi dallo scoprirmi perfetta, talvolta le scuse hanno preso il sopravvento sulla mia volontà. Fortunatamente, nonostante i tentativi e le ingiunzioni di chi voleva rendermi tale, non sono né un automa, né una macchina, sono un essere umano e posso cercare di migliorarmi diventando sempre di più me stessa. E’ capitato anche a te?

A volte basta solo fermarsi e ricominciare a respirare secondo il nostro ritmo.

A volte invece si commette l’errore di dare spazio a quelle vocine che sussurrano che noi non abbiamo quelle caratteristiche, che dovremmo mollare che non siamo fatti per quello, l’errore è credere nelle nostre scuse o di credere in quelle voci che ci dicono di mollare e di trasformare una sosta temporanea in una sconfitta definitiva. Domanda: a vantaggio di chi?

OK col il nuovo anno ho deciso di lasciare andare queste maledette scuse, e di chiamare le cose con il loro nome, accettando di perdere anche qualche battaglia, senza arrendermi, mai.

Come mi insegnano i grandi maratoneti, come quelli del Tor des Geants, che partecipano alle sfide più dure, al limite della sopravvivenza, se vogliamo raggiungere vette mitiche o traguardi ambiziosi, dobbiamo viaggiare leggeri, portando con noi e nel nostro bagaglio fisico e mentale l’indispensabile.

E tu? Per questo nuovo anno cosa scegli di lasciare andare? 

ORIGAMI

Posted by on Dicembre 1, 2015 in NEWS | 0 comments

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I nostri migliori Auguri di Buone Feste e Felice 2016! 

GIOVANNI SOLDINI – Il grande velista

Posted by on Novembre 11, 2015 in NEWS | 0 comments

GIOVANNI SOLDINI – Il grande velista

GIOVANNI SOLDINI: IL GRANDE VELISTA

La BARCA come Scuola di VITA

Sabato 31 ottobre 2015 Giovanni Soldini è stato invitato dalla Canottieri di Lecco in occasione della ricorrenza dei 120 anni di fondazione della Società sportiva e della Interlaghi. Questa è stata l’occasione per incontrare il grande velista e parlargli, ascoltarlo nei suoi racconti e scoprire una persona d’animo gentile e forte, un lupo di mare, solitario ma capace di seguire i suoi figli ai quali consiglia di perseguire le proprie personali inclinazioni.

Giovanni Soldini è un velista da sempre e un campione d’eccezione anche se con modestia non lo ammette. E’ stato capace di compiere due giri del globo in solitario (una vittoria e un secondo posto), sei Québec-Saint Malo (una vittoria nella categoria monoscafi), sei Ostar (due vittorie nella classe 50 piedi e classe 40 piedi), tre Jacque Vabre (una vittoria nella classe 40 piedi), e più di 40 trans-oceaniche. Attualmente, sponsorizzato dal marchio Maserati, è alla guida dello “scafo” ‘Barca Maserati’, che porta il nome della famosa casa automobilistica, con un team di persone provenienti da diversi continenti. Così attrezzato, ha già stabilito diversi record come Cadice-San Salvador, Rotta dell’Oro tra New York e San Francisco e, quest’anno, quello sulla Rotta del Tè tra review on sms tracker San Francisco e Shanghai.

Ascoltando parlare Giovanni Soldini si capisce che la barca a vela per lui (e non solo) è una scuola di vita, poiché sostiene “la barca a vela è un piccolo mondo in cui ritrovi rapporti umani, rapporti con la natura e che consente di capire quali sono i problemi del mondo. L’energia è un problema, l’acqua dolce è un problema, la spazzatura è un problema. E’ un piccolo mondo dove ci sei tu e pochi altri e devi organizzartelo al meglio, per questo ti insegna molto”. La barca insegna molto sul mondo ma anche su se stessi. Consente di sperimentare stati d’animo diversi come la solitudine e la paura, o con le parole di Giovanni: “soli in barca si impara persino a perdonarsi”, per errori e scelte sbagliate. La barca insegna anche molto sui rapporti con le altre persone, si naviga sia in solitaria – che in realtà comporta comunque la presenza degli altri concorrenti e di tutti quelli che hanno lavorato con te per preparare la regata – e si naviga con altre persone, viaggio che consente di avere qualcuno con cui poter condividere momenti ed emozioni, e questo è molto arricchente. Durante le veleggiate le emozioni si susseguono, alcune tuttavia sono spesso in figura. In primo piano sicuramente la paura, che è “una buona compagna di vita, è quella che ti fa vedere i tuoi limiti e quelli della barca, non è panico, è buon senso; e come ha insegnato ai propri figli un grande maestro di Soldini (Franco Malingri) ‘Se non avrete abbastanza paura non sopravviverete’”. E la felicità.La fortuna conta tantissimo. Senza, non si va da nessuna parte. Ma conta anche la felicità perché è importante fare una cosa che ti rende felice. Quando stavo facendo per la seconda volta il giro del mondo in solitario, continuavo a ripetermi e richiedermi: ‘Perché sei qua?’. Mi serviva a sottolineare tutto il tempo che ero lì perché mi piaceva risvegliarmi in mezzo al mare con l’onda di 20 metri che mi spinge a 25 nodi a canna… e anche se ce n’è uno che è a 10 miglia davanti a te, pazienza, perché sei già contento così. E sapere di essere felici in quello che si sta facendo è l’unica maniera per non farsi ‘ciulare’. Perché se uno ti supera durante una gara, l’importante è mantenere la lucidità di mente per fare sempre le scelte migliori. Se invece inizi ad andare fuori di testa gli regali la regata. E avevo capito che la chiave era questa.” La barca insegna che “devi essere molto equilibrato e per avere equilibrio devi avere un ordine mentale chiaro” se vuoi andare lontano e vincere le tue sfide. “Mai perdere equilibrio mentale, regalando il vantaggio all’avversario. E questa capacità è prerogativa delle donne, che sono fenomenali soprattutto nelle regate lunghe. Isabelle Autissier, Florence Sartò, Ellen Macarthur, per citarne alcune, sono fortissime. Sono meno impulsive, sono più abituate a soffrire e mantenere l’equilibrio mentale. L’uomo invece strippa e fa casino più facilmente”.

Un uomo dalle idee chiare Giovanni Soldini, e modesto, che consiglia a chi vuole avvicinarsi alla vela di farlo presto e di avere il coraggio di inseguire i propri sogni. “Non so quanto io sia un grande velista. Però, ho avuto sempre tanta voglia di fare e ho avuto la fortuna di trovare il modo di farlo. Ho partecipato a regate importanti ottenendo ottimi risultati, ma c’è gente molto più brava di me, che ha ottenuto risultati migliori rispetto ai miei, e parlo anche di persone best friend essays della mia generazione, velisti più completi e cresciuti in un ambiente favorevole. Penso a certi francesi, come Loick Peyron, Juaion, uno ha il record del mondo in solitaria, l’altro in equipaggio e sono grandissimi. Del resto ognuno compie la sua strada e fa quello che può nel miglior modo possibile. Io sono contento di aver fatto quello che ho fatto e di quello che farò”.

Giovanni Soldini descrive il suo personale rapporto con la barca e, emozionante, ad un certo punto del suo racconto dice: “Quando vai da solo con la tua barca hai per forza un rapporto quasi maniacale. Diventi un tutt’uno. Impari a capire cosa gli succede dai rumori che fa, da come si muove… la capisci. Alla fine diventi quasi una zia. Sei abituato a fare determinate cose in un modo e non in un altro e quando sale altra gente e devi condividere quello spazio, diventi quasi un rompicoglioni, perché entrano nel tuo mondo. Quando invece sei con l’equipaggio tutto questo rapporto speciale che hai con la barca si tramuta nel rapporto con gli altri e nella condivisione di momenti belli, brutti, alti e bassi”.

Per il futuro Giovanni è già focalizzato, pensa alla Sydney – Hobart con Maserati che avrà luogo fra due mesi. Intanto però mantiene un occhio ai giovani, e ai giovanissimi presenti alla serata consiglia “…di seguire i propri sogni, mirare in alto, crederci e fare di tutto per provarci. Se poi uno riesce a fare anche solo di striscio quello che gli piace, tutto diventa più facile. Quindi, non bisogna tarparsi le ali e soprattutto non bisogna perdere tempo. E purtroppo per un sacco di giovani è così. E’ vero che è difficile dire: ‘voglio fare questo’ e buttarsi a capofitto ritrovandosi il più delle volte a tenere il piede in dieci scarpe; ma è lì che ti freghi, perché perdi tempo. Perché arrivi a 30 anni e non sei capace di fare nè una cosa, nè l’altra. Magari tu vorresti fare il velista e invece i tuoi genitori hanno una farmacia e vorrebbero che tu andassi all’università. Tu che fai? Vai all’università, ti laurei e arrivi a 30 anni che avresti voluto fare il velista e invece fai il farmacista e ti fa cagare…”. “Ai giovani dico di seguire i propri sogni!”

Bene, ringranziando Giovanni Soldini per il suo racconto e le sue condivisioni, e il giornale di Lecco che ha guidato l’intervista, segnalo a chi volesse provare ad uscire in barca a vela facendo tesoro dell’ esperienza, con una modica cifra, di scriverci all’indirizzo info@soniadeleonardis.net segnalando il suo interesse e i suoi dati. Verrete ricontattati il più presto possibile per le nuove uscite della prossima stagione.

TOR DES GEANTS 2015

Posted by on Ottobre 17, 2015 in NEWS | 0 comments

TOR DES GEANTS 2015

TOR DES GEANTS 2015

Il Tor des Géants è una ‘gara-mito’ fatta da atleti che amano la corsa sulle lunghe distanze, persone dotate di una buona dose di consapevolezza, tenacia, capacità di prendere decisioni in fretta, di adattarsi all’ ambiente mutevole delle condizioni climatiche e che conoscono la Montagna.

Il Tor, 330 chilometri di corsa, 24.000 metri di dislivello, si snoda attraverso il parco nazionale del Gran Paradiso, collegando le due alte vie della Valle d’Aosta. Una competizione no-stop, da percorrere in un massimo di 150 ore, cui partecipano iscritti selezionati tra 52 nazionalità provenienti da tutto il mondo.

Una gara nella quale gli atleti si confrontano con tutte le loro risorse, fisiche e psichiche, poiché è una condizione dove in un tempo limitato si deve raggiungere l’obiettivo del traguardo, in un percorso durante il quale la fatica attanaglia le gambe, la forza di volontà non è sufficiente e il coraggio viene definito dai più un ‘accessorio indispensabile’.

In questa esperienza dove fermarsi per dormire significa perdere posizioni, un’allucinazione può diventare una risorsa reale cui attingere o farti perdere la strada negli ultimi chilometri dal traguardo. I primi atleti che raggiungono l’arrivo completano il percorso in meno di 80 ore dormendo in totale solo un ora e mezza.

Questa è una gara dove la preparazione, fisica e mentale, dell’atleta diviene indispensabile. Le esigenze fisiche e psichiche, mentali ed emotive dell’atleta, sono in primo piano, balzano in figura.

A supporto degli atleti che si cimentano e si misurano con il TOR, il lavoro di tanti professionisti (che seguono questi atleti prima, durante e dopo la gara e che divengono fondamentali per la prestazione sportiva). E’ possibile incontrarli nelle basi vita e nei rifugi disseminati lungo il percorso, che insieme agli abitanti del luogo, con semplici gesti, una mela o un incoraggiamento, possono fare la differenza per un atleta. Nelle basi vita e nei rifugi, l’apporto di un esercito fra volontari medici, infermieri, massaggiatori, allenatori, psicologi, cuochi, responsabili delle registrazioni e delle sveglie, rifugisti e guide naturalistiche, cronometristi, addetti al pronto intervento con elisoccorso, guide alpine, ‘scopette’, si prodigano perchè questo importantissimo evento – che si svolge tra paesaggi mozzafiato di montagne incastonate come diamanti nel paesaggio italiano – consenta di incoronare coloro che si dedicano ad uno degli sport di resistenza più affascinanti al mondo.

“Anche se sono un veterano della corsa, ogni volta è una emozione che nasce da capo (…) per i luoghi, per la gente, per la passione e l’impegno dei volontari, per il nuovo modo di andare in montagna. Prima, per andare per colli e sentieri, si doveva rigorosamente partire presto e tornare presto. Il Tor ha dimostrato che, con l’indispensabile preparazione la prudenza e il buon senso, la montagna si può frequentare a qualsiasi ora, ben conoscendo strade e rifugi. E che al tramonto e di notte è piuttosto affascinante.” (Franco Collé – vincitore dell’edizione 2014).

Elemento base del Tor, e di chi conosce la montagna, è anche la solidarietà, e la solidarietà anche fra atleti, che nei momenti in cui è a rischio la vita, sono capaci di aiutarsi e supportarsi a vicenda.

Un esempio è Christophe Le Saux, autentico giramondo dellUltra Running, riconoscibile per la criniera leonina, atleta polivalente che da parecchi anni si è affermato nel mondo del trail e che partecipa da ormai diverse edizioni al TOR. Questo atleta nel 2008, partecipando alla cordata che tentava la scalata al Pumori, quando un enorme blocco di ghiaccio colpì Corinne Favre, insieme ad altri atleti aiutò l’amica a ridiscendere al campo base, salvandole la vita insieme a tutti gli altri atleti che con lui hanno deviato il proprio percorso di gara. (Christophe nel Tor des Géants 2015, si classifica 3°, nel 2014 e nel 2012, 2° nel 2011).

L’atleta professionista è indubbiamente un fuoriclasse, ma a gare come queste possono partecipare tutti coloro che amano lo sport, avere coscienza del limite e accettare le fragilità del proprio corpo e della propria mente.

Per affrontare le ultramaratone serve allenamento, fisico e mentale, poiché le abilità mentali specifiche si possono allenare, come la capacità di affrontare e superare le crisi che fa’ da discriminante soprattutto in condizioni estreme.

L’esperienza in presa diretta, per chi come me ha avuto l’onore di partecipare all’evento, è adrenalinica e coinvolgente all’inverosimile, anche per uno psicologo – coach. Gli atleti che ti si affidano, ti regalano la partecipazione ai loro monologhi interiori che si prolungano talvolta quanto la corsa, ti regalano la partecipazione alle evoluzioni e alle involuzioni del loro pensiero, li vedi in preda ai morsi della fame e alla sofferenza del dolore, febbricitanti o congelati, imbambolati dal sonno eppure ancora con la spinta ad andare avanti, talvolta con un unico pensiero dominante in mente.

Al Tor, che ogni anno ripropone una sua nuova edizione, partecipano sportivi e atleti che amano sfidarsi, che prediligono lo sport di endurance, hanno un debole per i paesaggi naturali mozzafiato e sono temprati a resistere alle privazioni, sapendo discernere fra ciò che serve ed è indispensabile, e ciò che non serve e và lasciato andare.

“Il Tor ti obbliga a scegliere tra cosa è indispensabile e cosa no. Ed è una lezione importante da imparare: troppo peso dietro ti rallenta, troppe poche cose mettono a repentaglio la tua incolumità. Al Tor devi imparare a sacrificare la comodità per l’efficienza. Devi imparare a rinunciare a tutto quello che non è indispensabile e, cosa importante e per nulla scontata, devi imparare a distinguere tra ciò che è necessario e cosa no. 

Questo minimalismo viene elevato a regola di vita durante il Tor e anche le persone che sono sul percorso, che siano incontri casuali o amici venuti a sostenerti, percepiscono le cose di cui tu davvero hai bisogno in quel momento. E ti offrono un frutto fresco, un abbraccio, una maglia extra, una parola di sostegno o solo l’occasione per distenderti su un prato e chiudere gli occhi per 10 minuti. E ancor di più il discorso si fa importante quando si parla di sentimenti. E impari che avere l’anima leggera è più importante di uno zaino da top runner. (Franz Rossi)

Per prepararsi a queste sfide gli atleti si affidano parallelamente ai loro allenatori fisici e ai loro allenatori mentali, senza timore nel raccontarlo, poiché uno sportivo che si allena e si prepara con i suoi allenatori non è un purosangue fragile, ma è un atleta consapevole della differenza che fanno le sue capacità mentali sulla sua prestazione sportiva poiché lo sport è una disciplina che per definizione consiste semplicemente nel superare se stessi. E spesso, superare i propri limiti, ha più a che fare con una questione di testa che con una questione di muscoli.

“Il Tor è già una gara durissima da gestire. Se poi la affronti per fare un risultato sportivo… è come correre su una lama di rasoio. In me coabitano due anime, quella del montanaro prudente e riflessivo e quella dei “competitivo pronto a tutto”. Con la perdita della lucidità dovuta alla mancanza di sonno, si finiscono per fare cose totalmente assurde. Il che vuol dire pericolose. E in ogni caso del tutto irrazionali.” (Stephane Couleaud TDG 2011)

Al TOR la parola d’ordine è allora: con un adeguato allenamento e specifica preparazione, spingersi oltre i propri limiti senza lasciare nulla al caso. Tagliando il traguardo distrutti ma felici, con uno spirito particolare poiché come nota lo psicologo Pietro Trabucchi: “Se qualcuno puntasse loro una pistola alla tempia e li costringesse a fare il Tor, probabilmente non riuscirebbe ad ottenere il giro completo: la maggior parte, sfinita, ad un certo punto preferirebbe una morte istantanea ad una sofferenza prolungata. Eppure centinaia di persone da tutto il mondo pagano ogni anno per mettere alla prova i propri limiti, per raccogliere la sfida di questa gara unica al mondo, in un territorio di rara bellezza. E queste centinaia sono i privilegiati, una piccolissima frazione delle migliaia che hanno tentato di iscriversi».

Aver partecipato e condiviso questa esperienza è stata per me un onore. Un ringraziamento particolare và a mio marito Stefano Scianca, sportivo multitasking d’eccellenza, adottato dalle montagne italiane da quando era un ragazzino, portatore della fiamma olimpica, istruttore di barca a vela e montanaro D.O.C., che mi ha avvicinata alla Montagna e insegnato ad amare i paesaggi delle alte vie. Senza di lui questa esperienza non sarebbe stata possibile. Tra gli atleti che ho avuto il privilegio di incrociare quest’anno Gianluca Galeati, Christophe Le Saux, Lisa Borsani, Sthephanie Case, Denise Zimmermann, Taro Tanaka, Fabio Cavallo, Francesco Goggi, Masahiro Ono, Oscar Perez Lopez , Julio Cernuda Aldecoa) che considero degli atleti formidabili anche solo perché pensano di correre gare del genere, arrivando magari dall’altra parte del mondo, gare che richiedono una dose di coraggio superiore alla media, sfide che questi atleti pensano di vincere. E sulla scia della vittoria lascio la parola ad uno di loro, uno dei vincitori dell’edizione TOR 2015: Gianluca Galeati.

TORnato alla realtà dopo il Tor des Geants 2015, Gianluca ci scrive:

“Rhemes Notre Dame, 65ºkm, poco dopo le 20: Entro nel ristoro e Patrick è sempre li, ennesimo incontro, ennesimo incrocio di sguardi, ennesimo pensiero personale che ormai è diventato un ritornello “che cacchio ci faccio qui con lui!?”

Una dottoressa mi chiede se voglio medicare il ginocchio, macché non scherziamo. La domanda era più che lecita, ma io non mi ero assolutamente accorto dell’evidente squarcio nel ginocchio sinistro! Mangio, Marco mi agevola le operazioni di asciugatura, bevo e mangio il più possibile, nel mentre mi vesto ancora un po’. “10cm di neve vi aspettano sull’Entrelor!”, ci dicono. Ah però, penso io, e sul Loson cosa diavolo ci sarà allora?! L’inferno, deduco.

Non ci faranno passare di li, mai e poi mai, continuo a meditare. Osservo Patrick, si sta vestendo di brutto. Anche io non risparmio strati, mangio ancora qualcosina al volo e poi sono pronto a partire! Lui esce, intanto arriva Christophe, che come suo solito, divora qualcosa e in pochi istanti è pronto a scheggiare via. Usciamo insieme noi due, e su verso un altra salita, un altro colle, un’altra avventura, un altro affronto al cielo burrascoso di questa notte pazzesca, che comunque per noi deve ancora iniziare.
Qualche minuto e stacco il francesino, in salita sto proprio bene e avanzo regolare senza eccessi. Da solo sto meglio: notte, freddo, pioggia, luce frontale, concentrazione, e soprattutto convinzione. Grinze nelle dita – nonostante guanti e copri guanti impermeabili- piedi freddi, gambe gelide e bagnate, ossa muscoli e tendini già intaccati da un umido costante, snervante, struggente.

Nel frattempo la pioggia aumenta di intensità mano a mano si sale di quota , la frontale di Patrick è lì poco più avanti e si avvicina sempre più. Giuro, non ho proprio voglia di raggiungerlo, anzi non deve proprio succedere perché già pare una grossa minchiata essere li con lui in quel momento. Ma lui cala, e io lo raggiungo. Cazzo. “Ça va?!”, domanda lui. Mi esce un “Bien” sincero, anche se onestamente potrebbe andare molto meglio se il cielo degnasse po’ di tregua. “Et toi?”, “Bien” mi risponde nell’istante in cui lo passo mentre lui è intento ad infilarsi il secondo guscio sopra lo zaino! Cacchio, gran mossa la sua, copio e incollo nella mia testaccia dura e ad Eaux Rousse adotterò la stessa tattica per affrontare il Loson: quei 3300m in questa notte fredda e tempestosa incutono timore e rispetto, nonostante ci sia ancora da superare l’ostacolo Entrelor.

Fatto sta, che mi ritrovo a staccare i 2 francesi e ad avanzare di buon passo verso le pendenze proibitive che fanno presagire di essere in prossimità del colle. Luce lampeggiante a vista, scalini di ferro gelati, freddo pungente, vento graffiante, estremità dei piedi quasi gelate, pioggia di taglio, anzi forse ora è neve; ma nella mia testa tanta attenzione, concentrazione, determinazione. Dunque, poco tempo e sono in cima, targa gialla che recita Col Entrelor 3002m, e appena di la qualche luce frontale che mi punta contro e che raggiungo, ed una voce che comunica alla radio e che pare provenire dall’aldilà: “Col Entrelor, comunico passa ora il primo… sta iniziando a nevicare.”  Poi silenzio, anche nella mia testa. Cazzo, davanti a me non c’è nessuno. 

Che dire, aldilà o no, del colle, del paradiso, dell’inferno o di checcacchionesò, non ci capisco più niente, e fuori dal guscio non c’è tempo per pensare, c’è tempo solo per andare e lasciare i pensieri li dove sono, correndo il più veloce possibile verso quote più sicure.

Però, c’è un però sul quale non posso sorvolare. Sono in testa al TOR, e questa può sembrare la più gran cazzata che potessi immaginarmi, soprattutto nel corso di una notte così apparentemente dannata.
Però, io preferisco pensare che questa e le prossime due, nonostante tutto, potrebbero rivelarsi le mie notti fortunate…”

Gianluca Galeati, TOR 2015

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